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COP28: vinti e vincitori

Un summit che ha lasciato il segno positivo per tutti i Paesi del mondo? Oppure no?

Ritorniamo indietro di pochi mesi, allo scorso dicembre, per riflettere a mente fredda sull’esito della COP28 tenutasi a Dubai: l’effetto più eclatante è stata la stesura, nero su bianco, della necessità di “una transizione giusta e ordinata dai combustibili fossili”. È stato il messaggio che ha rimbalzato sui media di tutto il mondo, annunciando una svolta epocale, sicuramente ancora più significativa considerando che questa mozione è stata approvata anche da Paesi storicamente ostili, quali Arabia Saudita, Russia, Iraq e Iran. Tutto bello, dunque? Finalmente avverrà quella rivoluzione green tanto sperata? Come sempre, bisogna analizzare e andare a fondo dei proclami per avere una visione più completa.

Partiamo da un dato: il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre con un aumento della temperatura globale di 1,4°C. Questo effetto si è abbattuto in maniera maggiore sui Paesi in via di sviluppo, Africa in testa, che continuano a subire gli effetti del cambiamento climatico, nonostante contribuiscano a questa sciagura per solo il 2% delle emissioni inquinanti di tutto il pianeta. È sempre la solita storia del debole che continua a rimanere schiacciato dal più forte (in questo caso i Paesi industrializzati). Un altro dato aiuta a riflettere sull’importanza di FARE e fare per davvero: più di 165 miliardi di dollari è stato il costo degli eventi estremi abbattutesi sul pianeta a causa del cambiamento climatico nel 2022. E la COP 28 risponde con il loss and damage fund stanziando, per ora promessi, circa 700 milioni di dollari. C’è giusto una piccola lacuna differenziale da colmare di appena 164 miliardi e 300 milioni di dollari. E stiamo parlando solo di un anno, il 2022.

Chi sono, quindi, i vincitori della COP28?

Sarebbe bello poter dire il mondo intero ma non è così. L’Occidente, i colossi asiatici, il Medio Oriente petrolifero, continuano a segnare la strada seguendo le loro strategie espansionistiche e di sviluppo economico, lasciando le briciole (forse) al Sud del mondo: Sud America, Africa, Sud-Est asiatico. Incuranti che il futuro, che si sta sempre più concretizzando, si connoterà proprio in queste aree dove l’età media è molto bassa, la spinta sociale ed economica è immensa numericamente parlando.

“La finanza climatica è la chiave del negoziato. Senza fondi i Paesi in via di sviluppo semplicemente non possono abbandonare i fossili”, dichiara Brandon Wu, veterano delle COP. Ma soprattutto continueranno a vivere “colonizzazioni mute”, con il rischio di sempre più instabilità sociali. Come si può pensare di fare una transizione energetica in aree dove non arriva ancora l’energia elettrica? Mentre il resto del mondo si “abbuffa” di elettricità? Questa è la sfida del passaggio da un linguaggio burocratico che viene scritto sui documenti ufficiali all’effettiva azione per una vera ed efficace transizione verde. Anche in quest’ultima COP28 c’è stata l’attività delle diplomazie dei Paesi più ricchi che hanno limato parole e messaggi con lo scopo di evitare pericolose azioni sui temi dibattuti. E siamo arrivati alla 28° edizione delle COP!


Tutto quanto riportato sopra porta ad affermare che i rapporti di forza sono ancora saldamente in mano ai Paesi più ricchi, mentre il pianeta continua a camminare su una strada sempre più pericolosa per il suo futuro e quello dell’umanità. L’ennesimo appuntamento sarà a novembre alla prossima COP29 in Azerbaigian: dovremmo assistere a un nuovo teatrino? Oppure sarà lo stesso pianeta a decidere di mettere un punto esclamativo forte e chiaro?

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